domenica 4 luglio 2010

Da: VITA DA SEGRETARIA

Ho deciso di raccontare le mie esperienze come assistente o per meglio dire da segretaria, dopo aver letto “Il Diavolo veste Prada” di Lauren Weisberger. Questo non solo nella speranza, vana probabilmente, di essere pubblicata e avere lo stesso favoloso successo, ma anche per oggettivare e poi, tramite un processo catartico, ridicolizzare tutta una serie di eventi che mi hanno fatto venire le più strane somatizzazioni come piangere come una fontana appena uscita dall’ufficio, tanto che mio marito impietosito passava a ritirarmi tipo pacco tutte le sere, oppure ingrassare come un pallone di setto/otto chili in sei mesi per il nervoso e lo stress accumulati, o perdere i capelli a mazzi e immaginarsi pelata come Yul Brinner a trentacinque anni e, ovviamente, senza lo stesso fascino, o infine scarnificarsi il pollicione fino a farlo sanguinare, pur di tenere la bocca chiusa.
I miei brevi ritratti, simili a fotografie di attimi, fanno riferimento alle epifanie di James Joyce, perché mi sono laureata facendo una tesi su un breve librettino di sue epifanie, pubblicato postumo, da cui il famoso autore, peraltro un impenitente ubriacone, ha poi sviluppato tutti i suoi grandi romanzi.
Magari andasse così bene anche a me, alcool a parte, ma tanto sono astemia!
Ricordare, adesso, e metterlo nero su bianco in corti aneddoti mi fa sorridere, ma nello stesso tempo mi si stringe ancora il cuore, perché, mentre li vivevo, effettivamente, non erano così divertenti.
La professione di assistente di direzione o segretaria o come la si voglia chiamare, è un tipo di lavoro che è al giorno d’oggi in Italia, molto sottostimato e svalutato, per il fatto che la segretaria viene ancora considerata semplicemente l’impiegata donna – assolutamente e solamente donna – che risponde al telefono, fa le fotocopie e porta il caffè al capo.
In verità c’è molto di più dietro questa figura professionale, che solo un paio di capi, che ho molto stimato e ancora rimpiango, sono stati capaci di apprezzare e utilizzare appieno.
È quindici anni che faccio questo lavoro e ho cambiato diverse società sempre alla ricerca del capo perfetto. Non l’ho ancora trovato, credo perché, sono troppo esigente e mi aspetto di essere rispettata e anche ascoltata qualche volta (ma pensa, ho anche la pretesa di essere considerata dotata di una qualche primitiva forma di intelligenza) e non trattata come una schiava o uno straccio solo perché sono donna.
La grande differenza che corre tra la protagonista del libro “Il Diavolo veste Prada” e la maggior parte delle assistenti italiane è che la grande bastarda, Miranda, tratta allo stesso modo uomini e donne, per lei sono tutti ugualmente stupidi, inefficienti e da mettere sotto i suoi dodici centimetri di tacco delle sue Jimmy Choo. Nel mondo del lavoro italiano questo tipo di trattamento è riservato principalmente alle subordinate di sesso femminile e viene “somministrato” senza particolari distinzioni sia da capi maschi che femmine.
Sì, mi dispiace ammetterlo, ma le più grosse puttane siamo noi, quando raggiungiamo un posto di potere. Invece di diventare facilitatrici per altre donne ed evitare loro le umiliazioni patite da noi, durante il nostro faticoso percorso per raggiungere la cima (di cosa poi? non so se ne valga veramente la pena, ma forse io non dovrei parlare perché non ho raggiunto un bel niente!), aumentiamo il carico di stress umiliando, maltrattando e anche insultando le nostre collaboratrici, spinte da una gelosia visceralmente femminile che ci acceca e ci fa diventare dei mostri.
A volte lo facciamo anche con i nostri collaboratori maschi, ma non ci dà la stessa soddisfazione.
È come se volessimo veder patire da altre le stesse sofferenze patite da noi, perché troviamo ingiusto che a soffrire siamo state solo noi.
È per questo motivo che pochissime di noi raggiungono la mitica cima della piramide: noi non facciamo team con le colleghe, siamo capaci di allearci e favorire colleghi maschi, ma piuttosto morte, che vedere un’altra raggiungere il top, magari al nostro posto, senza peraltro mai domandarci per quale motivo un’altra arrivi più in alto di noi, ma solo insinuando posizioni a 90 gradi o peggio a carponi!
A questo proposito ho un primo aneddoto, documentato, su come noi donne siamo veramente brave a parlare, ma quando poi si tratta di mettere in opera la teoria, anche quelle di noi che sono maggiormente qualificate, non sono in grado di affrontare lo scontro in campo aperto per rendere, effettivamente paritaria la nostra situazione nel mondo del lavoro e non solo.

Nessun commento:

Posta un commento