sabato 30 giugno 2012

Tutti mi dicono che sono troppo incazzata

Ultimamente tutte le persone con cui parlo mi dicono che sono troppo incazzata.
In realtà sono più gentili e cautamente mi fanno notare che tutta questa rabbia prima o poi mi farà scoppiare.
Può darsi, o forse no.
Io sono incazzata da tutta la vita.
Mi incazzo per ogni ingiustizia, sia che colpisca me, sia che colpisca altri.
Mi hanno suggerito di non fare la Giovanna d’Arco, ma evidentemente neanche l’idea di finire sul rogo mi blocca.
Comunque negli ultimi tempi non sono solo incazzata, sono furibonda, perché il mio castello è crollato e perché mi trovo di nuovo a dover ricominciare tutto.
Non che mi manchino entusiasmo ed energie, ma sinceramente pensavo di avere diritto anche io di rilassarmi un attimo e dedicarmi con serenità alle cose che mi piacciono.
Purtroppo sono incappata in un’azienda di pazzi con un capo incompetente, ignorante, egomaniaco.
La normalità direte voi.
Certamente dico io, mica è il primo.
Solo che sono io che non ho più pazienza e neanche voglia di star dietro a un coglione.
Se il citato coglione mi avesse fatto trottare per portare a termine compiti intelligenti, progetti importanti e avessi fallito, sarei d’accordo con lui, ma i problemi che sono sorti, secondo lui sono stati la mia incapacità di farmi rispettare e la mancanza di organizzazione.
Io, incapace e disorganizzata?
No, non credo proprio e adesso vi spiego gli antefatti.
INCAPACE
Secondo il coglione, monopalla, criptocommunicator, io non so farmi rispettare perché le sue galline non hanno rispettato le nuove direttive aziendali.
Le citate galline si sono fatte un baffo di un’informativa mandata a nome suo e a nome dell’Amministratore Delegato che vietava loro di fare una certa cosa.
Le galline l’hanno fatta ugualmente, nonostante le indicazioni, fottendosene di quello che stava scritto sulla mail.
Il coglione mi ha scritto, dall’altra parte del mondo, dove stava, che io avrei dovuto impormi.
Gli ho gentilmente fatto notare che se né l’autorità dell’AD né la sua avevano appeal, la mia di sicuro contava anche meno.
Mi ha scritto dal Far East “argomento chiuso”.
Io al di qua dell’oceano che c’è in mezzo, lo sentivo scivolare sui vetri.
DISORGANIZZATA
Questa volta partiamo subito male.
Il coglione, monopalla, criptocommunicator, ha già sclerato con l’agenzia viaggi perché voleva a tutti i costi un biglietto elettronico da loro, quando ne era già in possesso.
Questo perché tutte le MA sanno, come lo sa anche lui, che l’American Express manda i biglietti, acquistati tramite loro direttamente al cliente anche se la procedura di acquisto è stata portata avanti da altri. E non trattano, non comunicano e non interagiscono con nessun altro che non sia il titolare della carta.
Alla mia domanda, un po’ stronza e di sicuro retorica, ma il biglietto tu ce l’hai? il CMC, ridacchiando isterico, ammette di si, ma insiste nel volerlo ricevere dall’agenzia.
Sono basita.
Dalla cattiveria, stronzaggine e bastardaggine.
Comunque, io gli preparo tutto, gli mando tutto via mail, glielo stampo, gli faccio il riassunto di quello che deve fare su un unico foglio.
Mi presento al suo cospetto e gli mostro la documentazione, foglio per foglio, prenotazione per prenotazione.
Lui annuisce.
Io domando se ha tutto quello che gli serve, se manca qualcosa, se posso fare altro per renderlo felice.
Risponde che è tutto a posto.
Sempre quando è dall’altra parte dell’oceano, perché il contradditorio frontale non lo reggerebbe, comincia ad inondarmi di e-mail chiedendomi perché non gli ho organizzato il transfer dall’albergo all’aeroporto.
Distacco zen.
Respiro profondo, provo a chiamarlo, ma CMC non risponde, paura di non reggere il confronto dialettico neanche per telefono?
Non gli scrivo, aspetto.
Insiste via mail.
Finalmente gli scrivo educatamente che nei 6 mesi precedenti, tanto è durata la nostra collaborazione, mai mi ha chiesto i transfer, dicendo che la sua preferenza andava ai taxi, che questa volta all’arrivo alle 4.50 di notte mi ero premurata di organizzarlo, vista l’ora inconsueta e che durante il briefing prima della partenza il problema del transfer per l'aeroporto non era stato sollevato.
Risponde che non condivide.
Neanche io, se per questo.
Anche perché brutto coglione, monopalla, criptocommunicator, dato che non mi hai volutamente comunicato dove cazzo sei durante il pomeriggio e il check-out degli hotel, in genere, è alle 12.00, come indovino io da dove vuoi il transfer e a che ora?
Il volo è alle 22.30.
Dove vai nel pomeriggio? sulla spiaggia di Copa Cabana?
Dove vuoi cenare? in un ristorante in città oppure mangi un panino in aeroporto?
Quando ci siamo conosciuti mi ha esplicitamente detto che sei uno che si arrangia da solo e che non hai bisogno della badante.
In quel momento ti ho adorato.
Adesso ti odio.

sabato 23 giugno 2012

La foglia è malamente atterrata

Eh sì, purtroppo la scelta di volare via non è stata una brillante idea.
Alla fine non sono marcita, ma sono atterrata malamente, di faccia con un sonoro tonfo.

Non so cosa sia peggio, se rimanere e morire piano piano, oppure spiccare il volo e vedersi le ali tagliate di botto con il conseguente tonfo.

Mi è comunque toccata la seconda opzione e devo dire che, se da una parte sono sollevata, perchè non ne potevo più dall'altra so che sarà molto più difficile delle altre volte trovare un lavoro.

Anche perchè la mia tolleranza alle cazzate ha raggiunto il livello di guardia.

Colloquio per office manager: dopo 4 interviste, la prima con il selezionatore, la seconda con l'attuale office manager, tutto in inglese, perchè la società è straniera, la terza con il ragioniere commercialista esterno, che cura la contabilità, arrivo alla quarta, certa che andrà tutto bene, perchè mi hanno fatto un sacco di complimenti e mi trovo a parlare con un elemento che mi è familiare: la famosa testa di cazzo, ovvero il direttore creativo.

Ho già avuto a che fare con un simile personaggio in passato, sono quelle donne, straniere, senza nessun titolo di studio, nessuna specializazzione, ma tante conoscenze e contatti, fatti non si sa come o forse sì, che gravitano negli ambienti della moda e similari e danno consigli.

Premetto che io sono snob, molto snob.

Non concepisco che nessuna americana o anglosassone, venga a dettare legge sulla moda in Italia.
Mi sono incazzata come una iena con Anna Wintur quando ha ridotto i giorni della settimana della moda, perchè lei non voleva sprecare più di 3/4 giorni a Milano.

E tutti come pecore a dire si.

Mi hanno fatto pena quando, durante l'ultima sfilata erano tutti terrorizzati all'idea di una sua visita in showroom e hanno decretato la zona off-limits a tutti perchè lei veniva in visita alla collezione.

Ma chi è??? probabilmente i suio antenati erano galeotti scesi dalla Mayflower, si galeotti, non padri pellegrini, ma quelli che ladri e puttane, noi in Europa non sapevamo dove mettere e così li mandavamo lontano, lontano, nelle colonie, sperando che crepassero là.

L'erba grama non muore mai, e si è visto che torna.

Tornano da noi dettando legge su cose come la cultura, la moda, l'arte.

Con che diritto? quando la maggior parte degli abitanti del loro paese non sa neanche dov'è l'Europa e i loro soldati vanno in guerra in Iraq pensando, se va bene, che sia da qualche parte al di là dell'oceano (senza individuare neanche quale oceano).

Per inciso, solo il 5% degli americani ha il passaporto.

Comunque tornando alla mia intervista, dopo un'ora di colloquio in inglese, di cui sono molto fiera, salta fuori che lei pensa che il ruolo sia da assegnare a una persona "of figures" ovvero penso io, a un contabile.

Ma poi te la vedi la laureata in economia e commercio che si occupa del lavandino turato o che serve acqua e caffè agli ospiti, te compresa (che non sei un ospite)?

Ma evidentemente il direttore creativo ha il potere di decidere.

Colloquio per Assistente di Alta Direzione: non vedo il selezionatore, che, dice, si fida del parere del suo collega che gli ha parlato molto bene di me.
Mi manda direttamente in azienda e incontro il Direttore del personale, persona squisita.
Gli piace la mia esperienza, gli piace che abbia una preparazione a tutto tondo, insomma sembra che apprezzi tutta la fatica che ho fatto per diventare quello che sono.

Dopo 15 giorni mi fissano l'incontro con lui, il mega padrone.

Sala riunioni modernissima, come il resto degli uffici, tavolone di cristallo e ci schieriamo, io da una parte, loro due dall'altra.

Lui spara per primo, dicendo che abbiamo solo 30 minuti.

Penso che, visto che dovremo lavorare insieme almeno 10 ore al giorno, se il colloquio va a buon fine, sarebbe meglio che mi dedicasse più di mezz'ora, ma non dico nulla.

Lui procede, parlando dell'azienda, cose già dette dal Direttore del personale, ma dato che l'ha fatta lui, lasciamogli il piacere di fare una bella ruota da pavone.

Io preferirei che parlassiomo di csa dovrei fare e di come lo dovrei fare.

A un certo punto squilla il suo cellulare.

Opzioni possibili:
1) non rispondere, ma lo ritengo altamente improbabile, avrebbe lasciato il telefono a una delle altre due assistenti
2) rispondere e dire velocemente alla persona che la richiama a breve
3) rispondere e, scusandosi, andare fuori a parlare

L'opzione 4, scelta dal cafone, è rispondere e stare, 7 minuti di orologio, al telefono con il suo architetto discutendo della valorizzazione della via dove abita, qualora lui ristrutturi la facciata di casa sua.

Fisso insistentemente il posacenere di cristallo al centro del tavolo.
Diventa la mia àncora, nella speranza che non mi si legga in faccia il disappunto e che le ultime iniezioni di botox blocchino bene la mia mimica facciale.

Sbircio il Direttore del personale e vedo che fissa la cartelletta nera cha ha appoggiato sul tavolo.

Alla fine della telefonata continuamo, come se niente fosse: un po' riesco a parlare anche io, finch'è se ne esce fuori con la frase: sicuramente lei ha visto l'insegna dei nostri depositi sulla tangenziale?

La mia reazione in quel momento sarebbe di dirgli: scusi, ma secondo lei, io in tangenziale conto i cartelli dei depositi? inoltre se la sua azienda fosse un marchio conosciuto della moda, una multinazionale della belllezza, al limite, una società di selezione, comincerebbe a sembrare una domanda con un minimo di senso, ma la sua azienda fa bulloni e viti!!

Rispondo "mitemente" da brava pecora, che non passo mai da quella tangenziale.

E così si conclude il colloquio.








giovedì 21 giugno 2012

Alla fine sono i manager che non sanno davvero cosa vogliono

Riprendo un post di qualche mese fa per confermare che le aziende e in particolare i manager, non sanno cosa vogliono, o meglio, non ammettono che quello che vogliono è un'assistente succube, supina e sottoposta.

Tu puoi presentarti per quello che sei, dicendo quello che sai fare e anche come lo sai fare, ma loro non ti ascoltano, sono solo ingolositi dal curriculum interessante e dall'idea di avere una persona con molta esperienza e con grandi capacità, salvo poi non usarle e sentirsi complessati nei confronti della "segreataria che ne sa più di loro".

Quando se ne rendono conto, quando capiscono che sei davvero competente, che puoi fare la differenza, hanno paura, paura di essere detronizzati, di perdere il potere, la faccia e chissà cos'altro.

Se hai una laurea, due master, diversi corsi di specializzazione e 20 anni di esperienza e il tuo capo una laurea in scienze politiche ottenuta in 5 anni, è ovvio che ci saranno problemi.

Il cretino, invece che cercare nella sua assistente un'alleata che potrebbe evitargli di infilare una serie di figure barbine, comincia a vederla come il "nemico" e così scatta ogni tipo di abuso, generalmente amano quelli verbali - l'urlo belluino, mentre i più bastardi utilizzano quello psicologico, continuando a criticarti a dire che non sai fare le cose, mentre tu cerchi disperatamente di capire cosa stai sbagliando.

Cosa stai sbagliando?

Niente, sei solo più intelligente e in gamba e lui, disgraziatamente lo ha capito.

In aggiunta lui ha il potere, tu no.

Così passi dei mesi infernali, continuando a fare il tuo lavoro il meglio possibile, considerate le circostanze, finchè un giorno, capisci che non puoi andare avanti in quel modo, che il tuo fisico sta urlando di dolore da mesi e che sei finita in un loop di pensieri funesti che ti hanno prostrata fisicamente e psicologicamente.

Senza contare che, salvo il fatto di aver un marito molto paziente, anche il tuo matrimonio scricchiola, perchè avere in casa una che ha un pensiero fisso e da quello non riesce a schiodarsi, è abbastanza seccante.

Quindi facendo i conti abbiamo:
  • salute a pallino
  • matrimonio in emergenza
verso
  • capo bastardo
  • lavoro idiota (è sempre privo di contenuti quando il capo è un simile deficiente)
  • stipendio considerevole
risultato:

con i tanti soldi ci si può pagare le cure mediche e psichiatriche.

Non vedo altri vantaggi.

Conseguente scelta: lasciare il lavoro per recuperare la salute.

Ma ora quando faccio un colloquio, come gliela racconto sta storia?