lunedì 18 ottobre 2010

Orwell, 1984 e le muffe verdi

Ho letto il libro di Orwell proprio negli anni in sarebbero dovute succedere le cose che descriveva nel 1948 e mentre leggevo mi veniva la “pelle d’oca”.

Ero molto giovane, ma già allora l’idea di essere controllata, osservate e quindi manipolata e condizionata, mi faceva impazzire.

Essere sottoposta a qualsiasi tipo di controllo mi provocava reazioni incontrollate, allora, e oggi ancora di più.

Controllare e osservare, nel senso deteriore del termine, sono vocaboli degni delle dittature.

Sembra che in questo momento della mia vita, io debba vivere questa situazione a causa non di quello che faccio, perché nessuno ha potuto dire che non faccio bene le cose, ma per come sono, ovvero estroversa, aperta e disponibile con tutti.

Perché sono una persona “scomoda”, di quelle che si fanno notare, non per la bellezza, l’eleganza o la vaccaggine, tutti questi attributi vanno bene per una donna, ma per l’intelligenza.

Peccato mortale, appunto per una donna, dimostrare di essere intelligente, capace, veloce, migliore delle altre, migliore delle “muffe verdi” che stanno attaccate ai muri pervicacemente, senza mai scrostarsi, senza mai dire nulla, che strisciano sotto la moquette e hanno sepolto tutti i loro sogni e hanno smesso di lottare, se mai lo hanno fatto.

Meglio una che ha una moralità indubbia, di una intelligente, perché per rimettere al suo posto la prima, basta una parola volgare, ma per la seconda ci voglio subdole e sottili minacce, perché apertamente non si può accusare una persona di essere troppo intelligente e quindi pericolosa.

Questo è la situazione che mi tocca vivere ogni giorno: una prigione senza sbarre, apparentemente, ma io so che ci sono e non lo posso accettare.

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