Senza volermi abbattere, perchè so che c’è chi sta peggio di
me, credo che mi si prospettino lunghi pomeriggi di ozio.
Perchè lamentarsi?
E’ vero, non dovrei, perchè, a parte un lavoro, non mi manca
nulla, ma l’abbrutimento del non far niente mi ha sempre terrorizzato.
Quando ero più giovane, l’inattività mi faceva paura, perchè
signifcava fermarsi a pensare e la maggior parte delle volte non mi piaceva
quello che vedevo, fermandomi a guardarmi.
Ora è diverso, mi guardo e mi piace quello che vedo, mi
piace la persona che sono diventata, anche se so che tante caratteristiche che
mi contraddistinguono mi hanno impedito di fare determinate scelte e ottenere
cose.
Ma lo so, e sono scesa a patti con il fatto che queste mie
caratteristiche sono un po’ ingombranti.
Di contro credo di avere qualità che poche altre persone
hanno, solo che sembra che non interessino a nessuno, o meglio, magari qualcuno
interessato c’è, ma poi quando si arriva al dunque, ti tratta in un modo che
dire “insultante” è poco.
La professionalità va pagata e se uno non è disposto a
farlo, non chieda a me di fare un lavoro.
Anche se c’è crisi, non vuol dire che si possano strangolare
le persone.
Se mi viene chiesto un preventivo per fare un certo tipo di
lavoro, sono disposta a mediare e ad andare incontro alle esigenze del cliente,
ma se il cliente mi offre un decimo di quello che ho chiesto, mi viene solo da
ridere.
Così rido e medito sul fatto che per qualche strana ragione,
qualunque tipo di attività mi metta a fare, i clienti cercano sempre di
fregarmi, obbligandomi così a giocare d’anticipo e a cercare di fregarli io per
prima.
E’ come quando lavori come dipendente e ti dai da fare anche
di più di quello che dovresti e non ti viene riconosciuto, mai, neanche con un
grazie.
Dopo un po’, come ha sottolineato un’amica, piano, piano, ti
tiri indietro e fai solo quello che io chiamo “il minimo sindacale” che non dà
soddisfazione nè a te e tantomeno al datore di lavoro che ti considera un
dipendente di scarso valore.
Evidentemente c’è qualcosa che non va nel sistema.
Credo si tratti del fatto che “meritocrazia” in Italia è una
parolaccia impronunciabile.
Il mito del “posto fisso” ha creato generazioni di lavoratori
che sono assolutamente incapaci in alcuni casi o, in altri non sono minimamente
interessati a migliorare le loro performances.
Così si fa carriera in modi a dir poco alternativi.
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